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Basi dell’editing

Norme e consuetudini
per scrivere bene

18.05.2023

Innanzitutto, una premessa. La buona formattazione di un testo ha poche regole assolute e tantissime convenzioni con pari dignità. Facciamo un esempio. L’editore Adelphi apre e chiude i discorsi diretti con le virgolette caporali («»), mentre Feltrinelli preferisce quelle inglesi (“”) ed entrambi sono nel giusto: in questo caso, come in tanti altri, il punto non è determinare quale delle due strade sia più corretta, visto che lo sono entrambe, ma piuttosto sceglierne una e seguirla fino in fondo, dalla prima all’ultima pagina del nostro testo.

Ogni editore ha le sue norme redazionali, una sorta di “credo” da seguire con devota fermezza, e altrettanto dovrebbe fare ogni autore che aspiri alla realizzazione di un buon testo: scegliere le proprie norme, purché corrette, e applicarle con assoluta coerenza. E qui, infatti, anticipiamo già la prima, e forse più importante, regola base per un editing impeccabile.

Coerenza
e ancora coerenza

Ebbene sì, la parola chiave per cominciare e concludere al meglio la scrittura di un testo è proprio questa: coerenza. Fin dalle prime battute, infatti, è importante fare delle scelte stilistiche, darsi delle regole, e applicarle con costanza fino alla fine del nostro testo. Inoltre sarà fondamentale, una volta terminata la scrittura, intraprendere una – e più d’una – accurata rilettura proprio per eliminare le contraddizioni e uniformare lo stile in nome dell’ordine e della scorrevolezza generale.

Ricordiamoci che oggi i lettori sono per la maggior parte agguerriti nonché impazienti di dire sempre e comunque la loro: non perdoneranno mai un testo poco professionale, pieno d’inciampi ortografici e scelte editoriali scricchiolanti che l’hanno distratto per tutto il tempo della lettura, e puntualmente lo faranno sapere al mondo attraverso qualche infuocata recensione. Cura e coerenza, sempre.

Qualche norma
editoriale

Lo abbiamo già detto: adottare una buona formattazione significa seguire poche regole assolute e tante convezioni, che ogni editore e ogni scrittore sceglie. Vediamo insieme quelle che generalmente perseguiamo noi, in un breve ma prezioso elenco – arricchito qua e là da qualche esempio tra il serio e il faceto, perché a nessuno piacciono i lunghi elenchi noiosi – a buon uso e consumo di chi è alle prese con la scrittura di un testo e ci tiene a fare bella figura.

  • SPAZIATURA: che si stia dividendo una parola da un’altra o una parola da un segno di interpunzione, in italiano si utilizza sempre e solo una singola spaziatura. Attenzione all’apostrofo, che non vuole spazi né prima e né dopo, salvo non si tratti di una parola tronca apostrofata, come ad esempio nella frase «Alejandro, aggiungi un po’ di sale a questo triste brodino». Mai doppi, tripli o quadrupli spazi, per carità.
  • GRASSETTO: da utilizzare, con molta parsimonia, per far risaltare le parole e le frasi più importanti. Troppi grassetti significa che è tutto importante e se tutto è importante significa che nulla lo è davvero.
  • CORSIVO: perfetto per trattare le parole straniere presenti nel testo, salvo non siano parole d’uso corrente utilizzate con disinvoltura anche nella lingua italiana. Quindi, comparirà il corsivo nella frase «Marta rispose con un excursus etnologico sui porcari», mentre non ci sarà nelle frasi «Franco decise di lasciar perdere la musica e di sciogliere la band una volta per tutte» e «quel genio di Luca non è un essere umano, è un computer». Il corsivo è ottimo anche per differenziare a colpo d’occhio un titolo, ad esempio di un libro o di un film, dal resto del testo.
  • SOTTOLINEATO: nei testi stampati è da evitare, lasciamolo ai link nel web. Punto.
  • MAIUSCOLO: sono assolutamente da evitare le parole interamente in maiuscolo. Se l’intenzione è evidenziare una parola o una frase, preferiamo al maiuscolo l’uso del grassetto o il corsivo. Nomi propri, stati, continenti, istituzioni, movimenti o periodi storici hanno la prima lettera maiuscola, mentre qualifiche e titoli onorifici, solitamente, si scrivono in minuscolo, ma su quest’ultimo punto la questione più importante è la coerenza interna al volume: possiamo tranquillamente decidere, ad esempio, che il titolo del Professor Rossi, uomo piuttosto grigio ma molto orgoglioso di sé, avrà la maiuscola, purché ce l’abbia sempre.
  • ACCENTI: mai e poi mai usare l’apostrofo al posto dell’accento. La tastiera ha tutto quello che serve per inserire vocali dotate dei loro opportuni accenti e dove non arriva la tastiera possono soccorrerci con facilità i programmi di scrittura più diffusi. Insomma, adottiamo tutti gli stratagemmi che vogliamo, ma facciamo in modo di evitare irritanti errori come questi: e’, perche’, poiche’, se’, ecc. “A”, “i”, “o” e “u” vogliono l’accento grave (“à”, “ì”, “ò”, “ù”), mentre la “e” vuole l’accento grave in alcuni casi (ad esempio la “è” del verbo essere) mentre in altri (ad esempio nelle parole che terminano in “ché”, come “perché” o “poiché”, ma anche in “né” e “sé”) quello acuto.
  • APOSTROFO: si utilizza nei casi di elisione, come accade nella frase «la regina sorbiva tranquilla un po’ di caffè». Da evitare, invece, nei casi di troncamento, come ad esempio nel famigerato e troppo spesso sbagliato “qual è”, che non vuole mai l’apostrofo.
  • TRATTINI: sembrano saperlo in pochi, ma tra il trattino corto (“-“) e quello lungo (“–“) c’è una bella differenza. Il primo, quello corto, è detto congiuntivo e infatti si utilizza per congiungere due parole (ad esempio “cino-canadese”), con prefissi (mine “anti-uomo”) e per separare numeri e date. Il secondo, quello lungo, detto disgiuntivo o semplicemente “lineetta”, si utilizza invece per aprire e chiudere un inciso, che tuttavia può spesso essere sostituito da semplici virgole.
  • VIRGOLETTE: le virgolette caporali («») si utilizzano per le citazioni e per i discorsi diretti, mentre le virgolette inglesi (“”) servono per enfatizzare una parola o per evidenziarla quando la si usa con un significato particolare, ma anche per racchiudere una seconda citazione che compare all’interno di una prima citazione. Possiamo decidere di fare diversamente, ma ricordandoci sempre della famosa coerenza. Un altro fattore importante è la punteggiatura che gravita attorno alle virgolette, inglesi o caporali che siano: in linea generale, va sempre inserita all’esterno delle virgolette. Un esempio? «Domani, alle nove, dovrai andartene», disse con un filo di voce. Nella frase la virgola si posiziona dopo la chiusura delle virgolette caporali e non prima.
  • “D” EUFONICHE: casi eufonici come “ad” o “ed” si adottano solo quando la parola che segue inizia con la medesima vocale, come nella frase «bisogna che sia giovane, ricco ed elegante». Tuttavia esistono delle eccezioni, come “ad esempio” o “ad essere sincero”, che vogliono comunque la “d” per amore di una piacevole fonetica. Altri casi, per lo stesso motivo, fanno anch’essi eccezione ma al contrario, ovvero non vogliono la “d” anche se andrebbe a dividere due vocali uguali, come accade per “ed educare” o “ad adattamento”. Sentite che “suonano” male?
  • TERMINI STRANIERI: come abbiamo visto qualche punto più su, i termini stranieri di uso non comune vanno in corsivo (latino compreso), mentre gli altri, assorbiti dalla lingua italiana, seguono la normale formattazione del testo. In ogni caso non vanno mai declinati al plurale, ma sempre nella loro forma singolare: quindi «Esteban, inviami subito quei maledetti file!» e non «Esteban, inviami subito quei maledetti files!».
  • NUMERI: generalmente si scrivono in parola, soprattutto nella narrativa, ma anche in questo caso vince la coerenza. Possiamo scrivere “anni Settanta” o “anni ’70”, “trent’anni” o “30 anni”, l’importante e agire sempre allo stesso modo lungo tutto il testo.
  • DATE: in cifre se stiamo scrivendo il giorno e l’anno, in cifre o per esteso se stiamo scrivendo il mese. In altre parole, “28-06-2022” oppure “28 giugno 2022”. Non serve ripeterlo, ma lo ripetiamo comunque: coerenza, scelta una strada si mantiene dall’inizio alla fine.
  • ITALIANIZZAZIONI: l’italiano è una lingua ricca e bellissima. Termini stranieri forzatamente piegati all’italiano, come ad esempio “settare” e “grabbare”, generalmente sono da evitare, preferendo il corrispettivo italiano che, il più delle volte, esiste: “impostare” e “prendere”, in questo caso, andranno benissimo.

Abbreviazioni

Meritano una sezione dedicata. Ecco qui un elenco delle parole che spesso ci piace abbreviare, naturalmente complete della relativa forma abbreviata corretta.

  • AUTORI VARI: AA. VV.
  • ARTICOLO/ARTICOLI: art./artt.
  • CIRCA: ca.
  • CAPITOLO/CAPITOLI: cap./capp.
  • CITATO/CITATI: cit./citt.
  • ECCETERA: ecc.
  • EDIZIONE/EDIZIONI: ed./edd.
  • EDIZIONE ITALIANA: ed. it.
  • ESEMPIO: es.
  • E ALTRI: et al.
  • FIGURA/FIGURE: fig./figg.
  • IBIDEM: ibid. (che significa “nello stesso luogo” e si differenzia da “ivi” che invece significa “nello stesso luogo ma con numero di pagina diverso”)
  • NOTA DELL’AUTORE/NOTA DEL CURATORE/NOTA DEL REDATTORE/NOTA DEL TRADUTTORE: N.d.A./N.d.C./N.d.R./N.d.T.
  • NUMERO/NUMERI: n./nn.
  • OPERA GIÀ CITATA: op. cit.
  • PAGINA/PAGINE: p./pp.
  • PARAGRAFO/PARAGRAFI: par./parr.
  • SENZA DATA: s.d.
  • SECOLO/SECOLI: sec./secc.
  • SIGNORE/SIGNORI: sig./sigg.
  • SIGNORA/SIGNORE: sig.ra/sig.re
  • SIGNORINA/SIGNORINE: sig.na/sig.ne
  • SUPPLEMENTO/SUPPLEMENTI: suppl./suppll.
  • TABELLA/TABELLE: tab./tabb.
  • TRADUZIONE ITALIANA: tr. It.
  • VEDI: v.
  • VOLUME/VOLUMI: vol./voll.
  • VERSUS: vs